Da più di un anno una giovane donna veglia il marito in coma.
I medici le dicono che non c’è più speranza, che dovrebbe lasciarlo andare, autorizzare il distacco dei supporti vitali.
Ma lei non ci riesce.
Ogni sera entra in quella stanza d’ospedale, gli prende la mano, gli parla, gli racconta del loro bambino, ripercorre la loro storia insieme come fosse una favola, sperando di raggiungerlo, di risvegliare la sua memoria e riportarlo a sé.
Perché lui l’ha salvata. E lei lo ama come non aveva mai amato nessuno.
Dopo la perdita dei genitori, dopo una relazione violenta che le aveva lasciato cicatrici profonde, lui era stato la sua rinascita.
Con Matteo aveva riscoperto la fiducia, la tenerezza, il sapore di una intesa autentica.
E quando era nato il loro bambino, la vita le era sembrata finalmente perfetta.
Poi, in un attimo, un incidente ha distrutto tutto.
Dall’altra parte del mondo, c’è un uomo che sembra vivere un sogno:
è un compositore di talento, una rockstar amata dal suo pubblico e dalla sua famiglia.
Ma qualcosa, dentro di lui, comincia a incrinarsi.
Durante una tournée iniziano a comparire segnali inquietanti: vuoti di memoria, allucinazioni, sensazioni di smarrimento, perdita di contatto con la realtà.
“Cosa mi sta succedendo?”, si chiede. “C’è qualcosa che non va nel mio cervello?”
I capitoli alternano la voce di Lei e quella di Lui, alimentando il mistero e accompagnando il lettore verso l’attimo in cui queste due vite si incroceranno.
Attraverso due diari paralleli, i protagonisti condividono la loro quotidianità, le loro emozioni, le loro paure, le loro speranze.
Le loro esistenze sembrano procedere su binari opposti, distanti, senza alcun punto di contatto.
Che legame può esserci tra loro?
All’inizio, è impossibile capirlo.
Ma quando un colpo di scena svela il rapporto che li unisce, ogni certezza si ribalta e la storia assume un senso completamente nuovo.
Da lì in avanti, il romanzo ci porta a riflettere sul mistero della nostra esistenza.
La scienza è davvero in grado di spiegare chi siamo?
Dove risiede la coscienza: la consapevolezza di esistere, la percezione di sé?
Le nostre emozioni sono solo il risultato di connessioni neuronali,
oppure possono sopravvivere anche quando il cervello si spegne?
Cosa ci rende umani: perché ci innamoriamo, odiamo, proviamo compassione, empatia, meraviglia?
La musica è il fil rouge che unisce tutto.
È la chiave del mistero, la lingua che dialoga direttamente con l’anima.
Una vita quasi perfetta parla dell’amore che sfida la ragione,
del dolore che si trasforma in forza e in resilienza,
e di quella parte invisibile di noi che continua a esistere…
anche quando la scienza dice che non ci siamo più.
LEI
“Il clown, sempre saltellando, raggiunse la sala comune, seguito da una piccola processione di bimbi, alcuni con le flebo ancora attaccate al braccio. Seduto a terra, tirò fuori palloncini colorati e, con movimenti teatrali, li trasformò in fiori, spade e animali, scatenando fragorose risate.
«Io sono Zuccherino Zompettino, maestro di magia, musica e risate!» si presentò con una voce in falsetto. «Chi vuole vedere un po’ di magia?»
«Sììì! Magia!» gridarono i bambini in coro.
Estrasse un cilindro, lo capovolse per mostrare che era vuoto, poi iniziò a tirar fuori caramelle che distribuì ai piccoli, tra applausi e gridolini di gioia. Quasi inconsapevolmente, mi ero avvicinata al gruppetto, attratta da quello spettacolo inusuale. D’un tratto, lui sollevò la testa e fissò i suoi occhi nei miei. Uno sguardo intenso, profondo. Provai un inspiegabile turbamento. Mi ritrovai combattuta tra il desiderio di restare e l’impulso di fuggire. Quella fugace connessione aveva smosso qualcosa dentro di me, qualcosa che non sapevo spiegare. Come se avesse intuito il mio disagio, distolse lo sguardo e riprese a far sparire monete di cioccolata che ricomparivano dietro le orecchie dei bambini.
Tornai nella stanza di mia madre. Il suo volto pallido e sofferente mi riportò alla realtà. Il dolore tornò a schiacciarmi, ma non come prima. La presenza del clown aveva portato un soffio d’aria nuova. Poco dopo, un lieve colpo alla porta mi fece trasalire. Mi alzai, sorpresa. Non aspettavamo visite e il personale ospedaliero di solito non bussava. Aprii e mi trovai davanti il clown, con il suo naso finto e la parrucca gialla.
“Scusami se ti ho seguita” disse piano. “Ma avevi un’aria triste. Ho pensato che potevi avere bisogno di un po’ di magia anche tu.”
Non potei fare a meno di sorridere.
«Sì, un po’ di magia mi servirebbe proprio» risposi con un sospiro. «Ma dubito tu abbia quella di cui ho bisogno io.»
Lui posò lo sguardo su mia madre e un’ombra di tristezza attraversò il suo sguardo.
«Hai ragione. Non posso fare miracoli» mormorò scuotendo la testa, «ma a volte, un sorriso può rischiarare anche la giornata più buia.»“
LUI
“Il palco, un colosso di acciaio e tecnologia, sembra vibrare. Schermi giganti si stagliano imponenti ai lati e sul retro. Le immagini trasmesse amplificheranno ogni nostro movimento, ogni espressione, restituendoli con una potenza visiva capace di far emozionare anche chi è più lontano dalla scena. Delle passerelle si snodano lungo i bordi: stanotte le percorrerò, quando non sarò al pianoforte, avvicinandomi il più possibile a quella folla che adesso sento crescere là fuori, come un’onda pronta a rompere gli argini. Dentro, la tensione e l’eccitazione si fondono in una miscela che rende ogni gesto più rapido e deciso. Tutti lavorano con un unico obiettivo. Io mi prendo un attimo, per assaporare tutto questo. Quando questa notte le luci si spegneranno e l’ultima nota si sarà dissolta nell’aria, saprò che avremo fatto tutto il possibile per incendiare gli animi di migliaia di persone e lasciare un segno indelebile nei loro cuori. Faccio accomodare Lena e Alex in platea e salgo sul palco in mezzo a un groviglio di cavi e attrezzature. Ignacio si è già sistemato alla batteria; i suoi colpi ritmici riempiono l’aria, simili ai battiti di un cuore meccanico. Alfredo e Dario accordano le loro chitarre provocando stridori che graffiano l’udito, mentre Michel regola il suo basso con espressione assorta. Mi siedo al pianoforte, lascio che le dita sfiorino i tasti e che il microfono catturi la mia voce. Tutto sembra fluire secondo un copione ormai collaudato. Ma all’improvviso, senza preavviso, tutte le luci si spengono di botto. Il teatro piomba nell’oscurità. Tutt’intorno a me cala un silenzio spettrale. Sgrano gli occhi nel buio cercando di scorgere le sagome dei membri della mia band. Non odo nemmeno una voce, come se tutte le persone presenti sul palco un attimo prima si fossero dileguate. Percepisco solo un ticchettio fastidioso, monotono, insistente. Non riesco a individuarne la provenienza. Sembra venire da ogni parte e nessuna, come se fosse radicato dentro di me. “Mio figlio è in platea”, penso preoccupato, “si spaventerà”. Provo a chiamarlo, ma nessun suono esce dalla mia bocca. È come se qualcuno avesse strappato via le mie corde vocali lasciandomi muto e impotente. D’un tratto, da sotto al palco, mi giunge la voce di Lena. Giro la testa in quella direzione ma non riesco a individuarla nella tenebra compatta che mi avvolge né a comprendere le sue parole. Chiudo gli occhi, atterrito, cercando una via d’uscita da questo incubo.“
Una delle prove più difficili e laceranti che un essere umano possa dover affrontare è la decisione di “staccare la spina” a un proprio caro. Poche situazioni possono eguagliare la complessità emotiva e morale di privare dei supporti vitali una persona amata che non può più decidere per sé.
Nota dell’autore
Scrivere questo romanzo è stato un viaggio impegnativo, un percorso che mi ha suscitato intense emozioni. Alla base della storia c’è una domanda straziante, una delle più complesse con cui possiamo trovarci a fare i conti: quando una persona amata non può più decidere per sé, come possiamo affrontare la responsabilità di dover decidere per lei?
La protagonista è una giovane donna costretta a confrontarsi con questa scelta devastante. Suo marito, l’uomo che ha amato e ama con tutto il cuore, è in coma da più di un anno. I medici non le danno speranze, le chiedono di prendere una decisione definitiva, di autorizzare il distacco della ventilazione meccanica. Ma come si può dire addio a qualcuno che è ancora in qualche modo presente, anche se sospeso in un limbo tra la vita e la morte? Come si può spegnere la speranza, se anche un solo battito, un solo respiro, continua a esistere?
E poi, e se i medici si sbagliassero? Se, contro ogni previsione, potesse riprendersi? Il dubbio è una presenza costante, un tarlo che si insinua nella mente. Non è forse successo, in casi rarissimi, che qualcuno si sia risvegliato contro ogni logica, contro ogni parere medico? E se quel qualcuno fosse proprio lui? Come si può prendere una decisione così definitiva senza essere divorati dalla paura di aver commesso un errore irreparabile?
La negazione diventa una difesa. Il dolore è troppo grande, troppo devastante per essere affrontato. Perché chi ama non vuole arrendersi. Non vuole smettere di sperare. Non può accettare l’idea che tutto sia davvero finito. E così ci si aggrappa a ogni dettaglio, a ogni suono, a ogni ricordo, nella speranza che sia la vita stessa a decidere, a sollevare dalla responsabilità di un gesto definitivo.
Ma l’amore non è solo attaccamento. È anche responsabilità, è il coraggio di guardare in faccia la realtà e prendere decisioni difficili, dolorose, ma necessarie. Esiste un confine tra il rispetto per la vita e il rispetto per la dignità di quella vita? E se sì, chi ha il diritto di stabilirlo?
Questa non è una storia che vuole dare risposte.
Non pretende di dire cosa sia giusto e cosa sia sbagliato. L’intento era quello di aprire uno spazio di riflessione e di empatia, esplorare il labirinto di emozioni, dubbi e paure che chiunque, trovandosi in una simile situazione, potrebbe provare. Volevo raccontare il peso della responsabilità, la forza della memoria, la disperata necessità di trovare un senso anche dove sembra non essercene alcuno. Perché, in fondo, chiunque potrebbe trovarsi di fronte a una scelta simile, e nessuno può dire con certezza come reagirebbe.
E poi c’è un’altra domanda, forse la più difficile di tutte: si può amare qualcuno al punto di lasciarlo andare? Qual è il confine tra egoismo e amore incondizionato? Se amare significa desiderare il bene dell’altro, cosa succede quando il bene dell’altro è in contrasto con il nostro desiderio di trattenerlo accanto a noi?
Non ho voluto schierarmi. Non ho voluto giudicare. Ho voluto solo raccontare.
Questa è una storia d’amore — ma non solo nel senso romantico del termine.
È un romanzo che esplora le diverse sfumature dell’amore: quello che ferisce e quello che cura, quello che spezza e quello che fa rifiorire. La protagonista, prima di incontrare suo marito, ha vissuto un legame tossico che ha lasciato cicatrici profonde, visibili ancora nel presente della narrazione. Quelle ferite non sono solo ricordi: riaffiorano con forza, condizionano le sue scelte, alimentano paure, inibiscono il desiderio di lasciarsi andare e fidarsi di nuovo.
Attraverso le sue memorie, spesso frammentarie ma cariche di emozione, il romanzo tocca con delicatezza ma lucidità il tema della violenza di genere. Ci sono poche descrizioni esplicite, ma affiora con chiarezza la dinamica psicologica che può intrappolare una donna in una relazione malata: la mancanza di autostima, la vergogna, il senso di colpa, la convinzione — spesso inconscia — di non meritare amore vero e rispettoso.
Il confronto con l’amica Diana diventa una chiave di lettura importante: è lei, con una semplice domanda, a dare voce al dolore rimosso. “Perché hai smesso di volerti bene?” e diventa il punto di svolta, un invito alla consapevolezza, alla rinascita, alla possibilità di un amore diverso — autentico, paritario, sano.
In questo romanzo, l’amore non è mai una cornice, ma una forza trasformativa: può distruggere, ma può anche guarire. Sta a ciascuna di noi imparare a riconoscerlo.
L’altro protagonista
In un diario intimo e parallelo, prende voce l’altra metà del romanzo: un uomo abituato a vivere sotto i riflettori, una rockstar idolatrata da milioni di fan. È un musicista di successo, sì, ma anche molto di più. Attraverso le sue parole, scopriamo il dietro le quinte di una vita apparentemente perfetta, fatta di concerti, luci abbaglianti e applausi, ma anche di silenzi e bisogno di solitudine.
La sua voce ci guida lungo un percorso fatto di ricordi frammentati, emozioni profonde, legami intensi e domande senza risposta. La musica non è solo la sua carriera: è la sua lingua, il suo rifugio, la sua ossessione. Attraverso questo diario, ci apre le porte del suo mondo interiore, mostrandoci le crepe dietro l’immagine pubblica.
Chi è davvero quest’uomo oltre il personaggio? Quanto di ciò che mostra corrisponde alla verità? La sua narrazione ci accompagna in un viaggio che ridisegna continuamente il confine tra ciò che appare e ciò che è, fino a mettere in discussione ogni certezza.
La musica
C’è un altro elemento che attraversa la narrazione: la musica. Non è solo una colonna sonora, non è solo un sottofondo. È il filo conduttore, un ponte tra passato e presente, tra coscienza e incoscienza, tra la vita e ciò che la segue. La musica ha il potere di evocare ricordi, di toccare corde profonde, di dare voce a ciò che le parole non riescono a esprimere. In fondo, non è forse la musica una delle forme più pure di comunicazione? Una melodia può riportare alla mente un istante, un volto, una sensazione, un amore che sembra perso e invece è ancora lì, incastonato tra le note.
E questo ci porta al tema principale che attraversa tutto il romanzo: dove nasce la coscienza?
Nel cuore del romanzo si cela una domanda tanto antica quanto attuale, una domanda che emerge con forza solo nelle battute finali ma che, come un fiume sotterraneo, scorre silenziosa lungo tutta la narrazione: dove nasce davvero la coscienza?
È possibile che ciò che definiamo come “io” — le emozioni che ci travolgono ascoltando una musica struggente, lo stupore che proviamo davanti a un tramonto, la nostalgia, l’amore, la paura — sia soltanto il risultato di impulsi elettrici e reazioni chimiche nel cervello? O esiste qualcosa di più, qualcosa che sfugge alla misurazione scientifica e ci rende unici, irripetibili, innegabilmente vivi?
Il romanzo non cerca di offrire risposte definitive. Piuttosto, invita il lettore a esplorare l’enigma della coscienza, a riflettere su ciò che ci rende umani in un’epoca in cui la tecnologia avanza a un ritmo vertiginoso, sfidando i confini tra naturale e artificiale, tra macchina e pensiero, tra algoritmo e anima.
Con uno sguardo profondo e a tratti inquietante, la storia ci conduce attraverso un’indagine esistenziale sulla natura della vita, sull’identità, e sulla fragilità dell’essere. In un mondo dove l’intelligenza artificiale inizia a imitare — e forse a comprendere — le emozioni umane, la domanda non è più solo che cosa siamo, ma che cosa stiamo diventando.
Forse, alla fine, non è tanto la risposta a contare, quanto il percorso che compiamo nel cercarla.
Grazie a chi vorrà intraprendere questo viaggio tra le pagine del mio romanzo.
Estratto condensato
«Oggi ti racconterò una favola, una storia d’amore meravigliosa. La più bella che io conosca. Perché è la nostra storia, amore mio.»
Anche stasera sono qui, pronta a rituffarmi nel passato, a intessere parole e ricordi come pezzi di un puzzle, nella speranza che possano riscuoterlo da quel sonno infinito in cui è sprofondato. Cerco di ignorare le flebo, i tubi, le macchine che lo tengono connesso artificialmente alla vita. Stasera voglio vedere solo lui, Matteo. Il mio Matteo.
Chiudo gli occhi e sento di nuovo il calore avvolgente del suo abbraccio. Quelle sue mani, che ora giacciono immobili, un tempo sfioravano il mio corpo con una delicatezza che credevo impossibile dopo l’inferno che avevo vissuto.
Con Ivano, l’amore era stato solo sofferenza e sopraffazione. Parole taglienti, gelosia malata e promesse infrante. Rammento quel suo sguardo spietato, la rabbia nei suoi occhi, l’angoscia che cresceva in me come un veleno, la sensazione di essere intrappolata in una prigione da cui non riuscivo a fuggire. E la vergogna… quella vergogna che mi impediva di chiedere aiuto, che mi faceva credere di meritare tutto quel dolore.
Poi è arrivato Matteo. E con lui, la mia rinascita. Mi ha insegnato che l’amore non deve far paura, che le mani di un uomo possono stringere senza ferire, che le parole possono curare anziché distruggere. Ha atteso, con pazienza infinita, che fossi pronta. Mi ha raccolta, pezzo dopo pezzo, senza mai imporsi, senza mai forzarmi. Con lui ho imparato di nuovo a fidarmi, a non tremare sotto un tocco, a sentirmi al sicuro dentro un abbraccio.
E ora, sono io a doverlo salvare.