GRANDE AMORE AL PRIMO ASCOLTO

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Questo libro è un viaggio emozionante nel cuore pulsante di una passione globale, un tributo sincero e intenso che racconta il legame indissolubile tra Il Volo e i suoi fan.

Attraverso la penna attenta e appassionata di Patrizia Ciava, il libro raccoglie e traduce 42 storie straordinarie di persone di ogni età e nazionalità, testimoni di un successo che ha attraversato confini e generazioni. Dai primi passi di Gianluca, Piero e Ignazio fino alla consacrazione come icone della musica internazionale, le loro voci hanno saputo toccare corde profonde, trasformando il semplice ascolto in un’esperienza indimenticabile e spesso rivoluzionaria per chi le vive.

La prima parte, arricchita dalla prefazione di Marino Bartoletti, esplora il percorso artistico del trio, analizzando con lucidità e ammirazione le qualità vocali e interpretative che li rendono un fenomeno senza eguali. La loro capacità di fondere tradizione e innovazione, lirica e pop, ha dato vita a un’armonia capace di conquistare un pubblico incredibilmente eterogeneo, unito da un comune denominatore: l’amore per la loro musica.

Nella seconda parte, il lettore si immerge in un mosaico di racconti intensi e appassionati: episodi divertenti, aneddoti commoventi, momenti di pura magia che testimoniano il potere della musica di creare connessioni profonde e durature. Per molti, Il Volo non è solo una band, ma una presenza costante che ha accompagnato, ispirato e persino cambiato la loro vita.

Un libro che è al tempo stesso un’analisi affascinante sul potere delle voci che sanno incantare e un inno alla bellezza che ci nutre e ci trasforma. Un’opera imperdibile per chi ama la musica e per chi crede che le emozioni, quando sono autentiche, possano davvero superare ogni barriera.

Incipit

La scoperta

Ottobre 2016

Una sera d’autunno, in cui ero troppo stanca per leggere o lavorare al computer, accesi il televisore ed iniziai a scorrere distrattamente i canali alla ricerca di un programma che potesse interessarmi finché una immagine familiare e il suono di una musica nota catturarono la mia attenzione.  La scena ritraeva Piazza Santa Croce di Firenze, gremita di spettatori, in fondo alla quale era montato un palco con un coro e l’orchestra. Il concerto doveva essere appena iniziato. La telecamera inquadrò un giovane che intonava la strofa iniziale dell’aria Nessun Dorma. L’espressione intensa, quasi sofferta, dipinta sul suo volto unita alla voce baritonale calda, profonda e al tempo stesso vigorosa, conferivano alla scena un pathos particolare. Con la sua appassionata esecuzione sembrava perfettamente immedesimato nel ruolo del principe Calaf desideroso di sciogliere il cuore dell’algida Turandot. Il coro attaccò il refrain e subito subentrò un tenore dalla voce cristallina e dallo sguardo ardente, che offrì una interpretazione più impetuosa dell’audace principe. Infine, un terzo tenore completò l’esecuzione con una voce corposa e possente che aumentò di intensità fino a raggiungere un acuto strepitoso con facilità e senza alcun sforzo apparente.

Erano tutti e tre giovanissimi e sembravano attori più che cantanti lirici, tanto che inizialmente pensai si trattasse di un film e che fingessero di cantare. Avevano una presenza scenica straordinaria, cantavano con uno slancio, un impeto, una passione travolgenti mantenendo al tempo stesso una sfumatura timbrica calda e avvolgente. Questa caratteristica mi aveva colpito fin dalle prime note, l’insolita combinazione di possanza e morbidezza creava un risultato d’insieme stupefacente. Immaginai l’effetto che doveva avere sul pubblico presente che infatti eruppe in una spontanea ed interminabile standing ovation. Il direttore d’orchestra si voltò e con immenso stupore riconobbi Placido Domingo. Ma chi diavolo sono questi tre, diretti addirittura da uno dei più grandi Maestri al mondo? mi chiesi sbalordita.

Rimasi incollata allo schermo fino alla fine del concerto. I tre cantanti alternavano arie di opera a brani della tradizione napoletana ed eseguirono anche classici in spagnolo e in inglese, esibendo pronunce perfette. Non avevo mai udito artisti cantare in una lingua straniera con accento, e soprattutto cadenza e intonazione così impeccabili. Non saprei dire se l’esecuzione fosse irreprensibile dal punto di vista tecnico e francamente non mi interessava. Riuscivano a conferire una freschezza inusuale a quei brani intramontabili che mi pareva di udire per la prima volta, come se avessero riscritto le note per adeguarle alla loro vocalità. In coro le loro voci si amalgamavano, pur rimanendo ben distinguibili, creando una incantevole armonia.

Mi meravigliava, inoltre, l’apprensione che leggevo nei loro sguardi mentre attendevano il responso del pubblico e la loro espressione felice quando ne ricevevano il caloroso plauso, dimostrando un’umiltà raramente riscontrabile in chi ha ottenuto il successo che chiaramente dovevano aver raggiunto per esibirsi in un tale contesto. Ero sempre più curiosa di scoprire chi fossero. Le esecuzioni canore erano inframmezzate da brevi interviste in cui i tre giovani spiegavano com’era nato il progetto “Tributo ai Tre Tenori”, un omaggio a Pavarotti, Carreras e Domingo, ma rivelavano poco altro. Ero riuscita solo ad afferrare il nome del trio: Il Volo. Poco prima della fine del concerto, fu annunciata la trasmissione successiva, che sarebbe stata incentrata su di loro e, pur essendo molto stanca, decisi di guardarla.

I tre giovani non erano presenti nello studio televisivo ma erano collegati in video. Finalmente seppi che il gruppo era composto da due tenori, Piero Barone e Ignazio Boschetto, e da un baritono, Gianluca Ginoble. Sul palco di Piazza Santa Croce, nei loro abiti scuri eleganti, accompagnati dall’orchestra diretta dal Maestro Domingo, erano apparsi solenni, persino imponenti, ma ora in jeans e t-shirt erano tre normali ragazzi di vent’anni, disinvolti e allegri, e facevo fatica a ricollegarli al trio di virtuosi che si erano esibiti a Firenze. 

Appresi che avevano raggiunto un enorme successo negli Stati Uniti, in America Latina, in Asia e in diversi paesi europei quando in Italia non li conosceva ancora nessuno e che solo in seguito alla loro vittoria al Festival di Sanremo nel 2015 avevano conquistato anche il pubblico italiano. Uno degli ospiti in studio precisò che all’estero erano considerati vere e proprie superstar. Mi chiesi a quel punto se fossero loro il trio di giovanissimi tenori italiani di cui mi avevano parlato con grande entusiasmo i miei studenti dell’università di Hong Kong, dove avevo insegnato dal 2010 al 2012. Mi avevano chiesto di tradurre le parole di alcune canzoni del loro repertorio tra cui Il Mondo. Mi pareva che li avessero chiamati proprio Il Volo. Avevo dovuto ammettere di non averli mai sentiti nominare e ne erano rimasti stupiti, convinti che fossero famosissimi in Italia come lo erano nel resto del mondo.

Com’era possibile che non avessi mai sentito parlare di loro da quando ero rientrata in Italia? E’ vero che guardo raramente la televisione e che non ho mai seguito Sanremo, però ascolto volentieri musica alla radio in auto mentre vado al lavoro ed ero certa di non aver mai udito le loro voci prima d’ora.

Nel corso della trasmissione, una giornalista tedesca, ospite in studio, disse che gli italiani non sanno riconoscere e valorizzare i propri talenti. A quelle parole ebbi un sussulto e si affacciò alla mia mente il sospetto che questi tre artisti fossero gli stessi che alcuni nostri giornalisti descrivevano come “un trio folkloristico che riscuote successo presso le comunità di italo-americani nostalgici, riproponendo vecchie canzoni popolari” e paragonandoli ai camerieri delle pizzerie di New York che si improvvisano tenori per intrattenere i clienti. Avevo da tempo la consapevolezza dell’esistenza di un simile trio, avendo letto di sfuggita articoli e recensioni che mi avevano dissuaso dall’approfondire la loro conoscenza e tolto qualsiasi desiderio di ascoltarli. Mi riusciva tuttavia difficile credere che le critiche negative e i commenti beffardi che avevo letto su quel trio fossero riferiti ai tre cantanti che mi avevano appena incantato con le loro mirabili esecuzioni. Ad un certo punto la stanchezza prese il sopravvento e non riuscii a guardare la trasmissione fino alla fine, andai a dormire con il suono delle loro stupende voci che mi risuonava ancora piacevolmente nelle orecchie, ben decisa ad approfondire l’indagine su di loro.

L’indomani, appena rientrata dal lavoro, iniziai la mia ricerca su Youtube, visionando clip dei loro concerti registrati dai fan di diversi paesi, video ufficiali e interviste rilasciate in svariate trasmissioni, prevalentemente all’estero. Scoprii così la loro incredibile storia: tre ragazzini di 14-15 anni, provenienti da piccoli paesi della Sicilia e d’Abruzzo, partecipano individualmente al programma “Ti lascio una canzone”, una competizione canora per bambini e adolescenti, condotto da Antonella Clerici; il regista Roberto Cenci ha la brillante idea di unire le loro voci in un trio; gli impresari Tony Renis e Michele Torpedine li notano e li portano negli Stati Uniti dove firmano un contratto di 2 milioni di dollari con la Geffen Records, etichetta discografica statunitense di proprietà della Universal Music Group. Da quel momento la loro ascesa nel firmamento delle star diventa inarrestabile. 

Guardai sbalordita il video della loro esibizione alla consegna dei Premi Nobel per la Pace ad Oslo. Era il 2012, erano passati appena tre anni dal loro debutto e quei tre, ancora adolescenti, si esibivano davanti ai reali di Norvegia con una padronanza del palco da fare invidia ai cantanti più navigati, collezionando entusiastiche standing ovation da parte del pubblico presente. E poi eccoli duettare con Barbra Streisand nel suo tour “Back to Brooklyn”, scherzando con lei come fossero vecchi amici; partecipare, unici italiani insieme a 85 star internazionali, al progetto “We are the world for Haiti” chiamati da Quincy Jones in persona, celebrare l’accensione dell’albero di Natale davanti al Rockefeller Center proponendo una versione inedita dei brani natalizi più famosi, fare sold-out al Radio City Music Hall di New York, tenere un concerto tra le rovine di Pompei dove prima di loro si erano esibiti solo i Pink Floyd. Questi ragazzi non avevano ancora compiuto vent’anni ed avevano già collezionato esperienze alle quali potevano ambire solo i più grandi artisti, con almeno 30 anni di sudata carriera alle spalle.

Appresi che la collaborazione con Placido Domingo era iniziata alcuni anni prima. Li aveva scoperti grazie ai suoi nipotini che erano entusiastici fan de Il Volo. «Un giorno arrivo a casa e sento O’ sole mio cantata in duetto. Meravigliato esclamo: “Ma questi non siamo io e Luciano”» racconta lui stesso in una intervista, mostrando la foto del nipote con indosso occhiali rossi simili a quelli di Piero, il suo idolo. Era così nato un rapporto di affetto e di stima tra la famiglia Domingo e i ragazzi de Il Volo, che li aveva portati a registrare insieme al Maestro il brano Il Canto, contenuto nel CD We are love e a partecipare come ospiti al concerto “Plácido en el alma”, organizzato per il suo 75° compleanno presso lo stadio del Santiago Bernabeu di Madrid.

Era stupefacente osservarli attraverso i video amatoriali registrati a loro insaputa.  Gli adolescenti timidi e impacciati di “Ti lascio una canzone” si erano trasformati in tre affascinanti giovani in grado di calcare i palchi più prestigiosi del mondo con la disinvoltura di artisti consumati. Notavo gli sguardi di intesa che si scambiavano tra loro durante i concerti e il loro genuino moto di soddisfazione e di orgoglio quando un membro del trio riceveva da solista i plausi del pubblico. Non si percepiva invidia tra loro ma un affiatamento e un affetto autentici e sinceri. Quei tre ragazzi si sentono davvero “tre voci, una sola anima”, come amano definirsi. Ammiravo la loro spontaneità, la freschezza, la pazienza e la disponibilità nel concedersi ai fan che li assalivano ovunque.

Tuttavia, più ancora dei video mi sbalordivano i messaggi che leggevo nelle pagine dei commenti. Erano scritti in diverse lingue ma esprimevano medesimi sentimenti di meraviglia, quasi di incredulità, per l’effetto suscitato dalle loro voci. Gli aggettivi e le espressioni che ricorrevano più spesso per descriverle erano mesmerizing (che strega, ipnotizza) breathtaking (da togliere il fiato), they are out of this world (non appartengono a questo mondo), they stole their voices from the Angels (hanno rubato la voce agli angeli), non sono di questo mondo, Talento Divino!. Molti rivelavano addirittura una sorta di dipendenza, quasi che le loro voci possedessero un potere benefico e taumaturgico:“li ascolto e sono felice”, “li ascolto tutti i giorni ,mi fanno stare bene.!”, “vi ascolto tutti i giorni mi avete dato tanta forza di vivere, grazie ragazzi“, “la loro voce scalda il cuore e fa gioire l’anima.”, “Cos’è questa corrente che sentiamo quando cantano? E’ emozione pura. Particolarmente toccante la testimonianza di una donna la cui sorella malata di Parkinson si acquieta solo ascoltando il loro CD.

Esiste persino un gruppo di fan intitolato “IlVolotherapy” i quali affermano scherzosamente – ma non troppo – che ascoltarli costituisce una terapia per vincere tristezza e depressione. Il fatto singolare è che, avendo approfondito l’indagine, non ho trovato testimonianze di questo tenore in calce ai video di altri artisti con caratteristiche vocali simili, come Andrea Bocelli, Josh Groban, il gruppo internazionale Il Divo e persino Pavarotti. 

Mi chiedevo cosa rendesse le loro voci così speciali da suscitare una simile reazione in persone di diverse età, nazionalità e cultura.

In un video, un giovane vlogger americano, ascoltando per la prima volta il loro successo Sanremese Grande Amore, esclama:

  • «Questi tre cantano direttamente alla tua anima!».

In effetti, l’impressione è che riescano a toccare corde profonde, suscitando una commozione difficile da rendere a parole. Ma come ci riescono? Il segreto risiede nella loro vocalità oppure nel modo in cui interpretano le canzoni?

La bellezza di una voce non consiste evidentemente solo nella capacità di emettere acuti o gorgheggi impetuosi ma è anche nel modo in cui viene modulata per trasmettere calore e passione. L’artista, a differenza del mero esecutore, non esibisce la propria possanza vocale come fine a sé stesso, non si concentra solo su virtuosismi e tecnicalità, ma usa lo strumento vocale per trasmettere emozioni e far vibrare le corde dell’anima. Cosicché il dialogo che si stabilisce tra chi canta e chi ascolta diventa comunione tra due spiriti, come per ogni forma d’arte. Spesso vocalisti che cantano bene da un punto di vista stilistico possono risultare ingessati ed inespressivi perché ostacolati da preoccupazioni tecniche.

I cantanti de Il Volo, al contrario, possiedono il dono di avere splendide voci ed il talento di saperle utilizzare per stabilire un rapporto empatico con l’ascoltatore. La voce di Gianluca è calda, vellutata e profonda e, al tempo stesso, vigorosa e capace di raggiungere note alte, quella di Ignazio limpida, cristallina, vibrante, e dotata di una estensione sorprendente, quella di Piero è piena e possente, in grado di sostenere acuti tali da poter rivaleggiare con qualsiasi tenore per vigore, controllo e facilità. Quando cantano in coro, incanta il perfetto equilibrio acustico formato dalle loro voci, diverse ma complementari, che si fondono in un rapporto armonico ideale in cui tutte le componenti hanno la stessa importanza e sono inter-indipendenti, cioè ognuna è autonoma ma collabora alla creazione del risultato finale che acusticamente è superiore alla somma delle singole voci.

Al tempo stesso, tutti e tre riescono a dare significato ad ogni sillaba, addolcendo il timbro o intensificandolo per enfatizzare lo stato emotivo della canzone. Osservarli è una esperienza affascinante perché si trasfigurano, diventano essi stessi musica, vivono ciò che interpretano e lo fanno vivere a chi li ascolta anche senza comprendere le parole. Il Volo mette un’enfasi nel canto di gran lunga superiore ad altri cantanti e gruppi di pop lirico più classici e delicati, come Bocelli o “Il Divo”, e propone una versione originale e impareggiabile di crossover classico. Gianluca, Piero e Ignazio cantano con ogni fibra del loro essere, con lo sguardo, con l’espressione del viso, con il movimento delle mani, persino con la postura del corpo, esprimendo  forza, impeto e passione ma trasmettendo al tempo stesso una intensa sensazione di morbidezza che avvolge e accarezza l’anima vincendo ogni resistenza. Attraverso il canto si offrono al pubblico senza remore fino a creare una simbiosi perfetta con chi ascolta.

L’altro elemento vincente è la loro bravura nel coinvolgere e stabilire un rapporto con il pubblico. Tra una canzone e l’altra intrattengono le platee, comportandosi in teatri gremiti da migliaia di persone come se si trovassero ad una festa tra amici, prendendosi in giro a vicenda, scherzando ed interagendo con gli spettatori. Esistono online dei video contenenti unicamente le loro gag sul palco, apparentemente improvvisate e divertentissime. Durante i concerti si trasformano in un attimo da simpatici burloni ad interpreti appassionati di brani difficilissimi eseguiti con apparente naturalezza e facilità. In un commento si legge: “Ti fanno ridere a crepapelle e subito dopo piangere per la commozione!” Possiedono una delle abilità che più ammirano e ci invidiano all’estero, la capacità di far sembrare semplice ciò che richiede invece grande impegno e competenza. E’ evidente, infatti, che la perfetta sincronizzazione tra loro e con l’orchestra è il frutto di ore di studio e di preparazione dietro le quinte, e che tutta l’organizzazione è il risultato del lavoro congiunto di validi professionisti. Non sbagliano un ingresso o una nota, dimostrando una professionalità e una esperienza sorprendenti in individui così giovani. Al tempo stesso è evidente che si divertono davvero e che amano intensamente ciò che fanno.

Dalle prime interviste negli Stati Uniti e in America latina rilevavo, inoltre, un progresso sbalorditivo da parte di tutti e tre nell’esprimersi in inglese e in spagnolo, con proprietà di linguaggio e accenti impeccabili, e mi chiedevo quanto dovevano aver studiato per raggiungere in poco tempo un tale livello di padronanza delle lingue. In una intervista dichiarano:

«Mettiamo tutti e tre un grande impegno nello studio e nella professione perché lo riteniamo un dovere del singolo nei confronti degli altri due e di tutti nei confronti di quanti si sono appassionati al nostro canto, alle nostre canzoni, ai nostri concerti. Per ognuno di noi deludere tante aspettative, sarebbe davvero un peccato.»

Constatai che Il Volo contava più di 4000 fan club sparsi in ogni angolo del pianeta, che si dedicavano anche alla promozione del nostro paese, della nostra cultura e proponevano lezioni di italiano online attraverso i testi delle canzoni. Nel sito americano, Il Volo Flightcrew, si potevano trovare persino ricette di cucina.

Decisi di scrivere un articolo per mettere in risalto l’encomiabile opera di divulgazione della musica e della cultura italiana che questi artisti stavano svolgendo nel mondo. Il pezzo si intitolava: IL VOLO/ UN SUCCESSO MONDIALE CHE FA BENE AL “MADE IN ITALY. Il bel canto tutto italiano torna ai vertici del successo mondiale grazie ai tre ragazzi de Il Volo. Patrizia Ciava ci spiega cosa c’è dietro un fenomeno unico.”

«Il gruppo musicale Il Volo è attualmente la band italiana più famosa nel mondo. Il loro successo planetario non è dovuto solo al loro innegabile talento ma è anche frutto di un connubio perfetto tra diverse sinergie che si combinano e si completano tra loro per formare un modello unico ed ineguagliabile. Costituiscono un fenomeno atipico nel panorama musicale internazionale per la eterogeneità e la trasversalità del pubblico che li segue, appartenente a diverse culture e nazionalità e compreso in una fascia di età che va dai 6 agli 80 anni, e forse oltre.

[…] Il Volo è certamente una brillante operazione di marketing che risponde alla grande domanda di Italia che c’è nel mondo ma è, al tempo stesso, un efficace strumento di promozione del nostro paese. Intento esplicitato più volte dagli stessi membri del trio: “Il nostro sogno è di far conoscere al mondo la bellezza della nostra musica e del nostro paese“ dichiarano. Leggendo i commenti entusiastici dei loro fan in molteplici lingue è evidente che ci riescono molto bene e che l’affetto e l’ammirazione per loro si riverbera anche sull’Italia.

Svolgono, inoltre, un importante ruolo nel diffondere la nostra lingua. Non si contano i fan che dichiarano di studiare o di voler studiare l’italiano per comprendere e cantare le loro canzoni. E’ emozionante ascoltare il pubblico di San Pietroburgo, di Detroit, di Londra o di Vienna cantare insieme a loro “Grande Amore” e altre canzoni del loro repertorio conoscendone il testo a memoria. La lingua, veicolata attraverso la musica, ha una capacità seduttiva senza uguali e può aiutare ad accrescere l’attrattività ed il prestigio di una nazione nel mondo, questo inglesi e americani lo hanno capito da tempo. E’ chiamata soft power (potere soffice), cioè la capacità di attrarre, ricevere consensi, migliorare reputazione e desiderabilità senza necessariamente essere una grande potenza economica o militare.

Il pubblico italiano li acclama perché ne apprezza il talento e la bravura ma si rende anche conto che questi giovani proiettano una immagine positiva del nostro paese. Aldo Cazzullo, editorialista del Corriere della Sera, vi ravvisa una voglia di riscatto: «Dopo anni in cui abbiamo pensato che essere italiani fosse una sciagura, sentiamo il bisogno di pensare che essere italiani sia una fortuna» scrive. In realtà, questi talentuosi artisti hanno dimostrato che essere italiani è una fortuna, ribaltando l’idea, propagataci da anni proprio dai media, che per essere credibili nel mondo dovevamo abbandonare la nostra identità e la nostra cultura per adottare uno stile di vita importato da oltreoceano. Questi tre artisti trasmettono valori e sentimenti positivi e sono un esempio per i più giovani perché incoraggiano a perseguire i propri sogni con impegno e tenacia.

I tre cantanti de Il Volo, malgrado la giovane età, hanno la maturità e l’intelligenza di comprendere che uniti si può raggiungere qualsiasi traguardo. Un concetto difficile da far assimilare ad un popolo solitamente individualista e diviso da rivalità e invidie come il nostro. In una intervista, alla domanda di un giornalista che chiede ad Ignazio chi gioca meglio a calcio, lui risponde: “Piero prende la palla, io la passo e Gianluca segna”. “Gioco di squadra anche nel calcio” commenta il giornalista. E Ignazio replica: “Certo, se segna Gianluca vince Il Volo, no!?”»

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