CONCORRENZA AL PARADISO

Questa invenzione rivoluzionaria potrebbe cambiare per sempre il modo in cui affrontiamo il lutto. Potrebbe offrire conforto, permettendo di colmare i silenzi lasciati in sospeso, di chiedere scusa, di dire finalmente addio. Ma, allo stesso tempo, solleva domande inquietanti: saremmo in grado di gestire un contatto continuo con l’aldilà? O rischieremmo di rimanere prigionieri di un dolore senza fine, incapaci di lasciar andare chi non c’è più?

Il protagonista di questa storia conosce bene il tormento della perdita. Il dolore della morte di una persona cara è una ferita profonda, e quando a spegnersi è una vita ancora giovane, la sofferenza si amplifica, diventando un grido muto rivolto a un futuro che non sarà mai. Il vuoto lasciato da chi se ne va è un’ombra che si insinua nei pensieri, spingendo chi resta a cercare disperatamente un segno, un contatto, un modo per credere che il legame non si sia spezzato per sempre.

Ma cosa accadrebbe se questa speranza diventasse realtà? Se fosse possibile sentire ancora una voce che credevamo perduta? Forse sarebbe la consolazione che tutti cerchiamo. O forse, sarebbe l’inizio di un’ossessione pericolosa, capace di riscrivere per sempre la nostra percezione della morte e della vita stessa.

Qual è il confine tra il bisogno di tenere vivo un legame e il pericolo di smarrirsi in un labirinto di incertezze sul senso stesso dell’esistenza terrena? Se la morte non fosse più un confine invalicabile, il mondo dei vivi avrebbe ancora qualcosa da offrire rispetto all’aldilà?

Forse, per rendere la vita sulla terra davvero irresistibile, dovremmo imparare a fare concorrenza al paradiso.

Questa storia è essenzialmente un’utopia che immagina un mondo in cui tutti gli esseri umani si sentano uniti dallo stesso destino e da un amore eterno che li legherà oltre la vita. L’idea di un dispositivo che permetta la comunicazione con l’aldilà non solo offre spunti narrativi avvincenti, ma affronta con originalità uno dei temi più universali e affascinanti della storia umana: il mistero della vita dopo la morte.

***

“…who would fardels bear; To grunt and sweat under a weary life; But that the dread of something after death; The undiscover’d country from whose bourn; No traveller returns, puzzles the will; And makes us rather bear those ills we have; Than fly to others that we know not of” (Shakespeare)

Incipit

Con un sospiro, Roberto si china in avanti per afferrare il telecomando e spegne il televisore.

Per un momento rimane immobile, lo sguardo fisso sullo schermo ormai scuro. L’eco confusa delle opinioni che ha appena ascoltato riecheggia nella sua mente e gli procura un senso di smarrimento; assistere a dibattiti in cui perfetti sconosciuti scandagliano la sua vita, giudicano le sue azioni e pretendono persino di conoscere le sue intenzioni è un’esperienza surreale alla quale non riuscirà mai ad abituarsi. Ha l’impressione di osservare sé stesso attraverso una sorta di specchio distorto in cui stenta a riconoscersi.

Probabilmente, trasmissioni simili stanno andando in onda, in questo momento, in altre parti del mondo. Questo pensiero gli strappa un sorriso amaro. La notorietà, inizialmente così gratificante, ora gli pesa come un macigno.

Si alza e si dirige verso un minibar situato nella sala da pranzo attigua. Con gesti lenti e misurati, apre una bottiglia di Brandy e osserva il liquido ambrato scorrere nel bicchiere.

Sorseggiando il liquore, si avvicina alla grande finestra che affaccia sul giardino e osserva il proprio riflesso nel vetro, provando una sensazione di estraneità. Ha difficoltà a identificarsi in quella figura che si staglia come un’ombra contro il buio della notte. Da quando tutto è iniziato, si è trasformato anche fisicamente; ha perso peso, ha scelto un diverso taglio di capelli per nascondere l’incipiente stempiatura, ha cambiato stile di abbigliamento. La camicia confezionata su misura e i pantaloni di sartoria delineano le sue forme e lo fanno apparire più slanciato, ma gli occhi che lo scrutano sembrano appartenere a un estraneo. Solo la sottile vena azzurrina che pulsa in rilievo sulla tempia gli ricorda l’uomo che era.

Alle sue spalle, il riverbero del salotto appare anch’esso evanescente e irreale. Le linee pulite e i colori neutri dell’arredamento, che sua moglie ha scelto con cura maniacale, rendono quella che una volta chiamava casa, un luogo senza calore, senza storia, senza una impronta personale.

Prova un guizzo di nostalgia ripensando alla vecchia sala piena di oggetti intrisi di significato, ciascuno con una storia da raccontare. Ora, i rari soprammobili e i pochi quadri che adornano le pareti sono stati scelti più per il loro impatto visivo che per un gusto personale. I divani grigi e i tappeti dai disegni geometrici sembrano fluttuare in uno spazio senza tempo e riflettono il vuoto che Roberto si sente dentro. La sua anima sembra essersi persa tra quelle linee rigide e quell’ordine impeccabile.

Mentre riflette sul caos che la sua invenzione ha scatenato, catapultandolo nell’occhio di un ciclone mediatico senza precedenti, riaffiorano implacabili le domande che continuano a tormentarlo. Avevo mai immaginato di arrivare a questo punto? E se potessi tornare indietro, rifarei la stessa scelta? Difficile darsi una risposta; le motivazioni sono complesse e contrastanti.

Svuota in un sorso il bicchiere e lo posa sul davanzale, estrae dalla tasca un pacchetto di sigarette e se ne accende distrattamente una, socchiudendo un’anta della finestra per emettere uno sbuffo di fumo grigio all’esterno. Nell’oscurità che avvolge la strada, intravede l’auto della scorta parcheggiata davanti al suo cancello. La presenza dei due agenti che, alla tenue luce interna dell’abitacolo stanno mangiucchiando un panino, gli trasmette un senso di sicurezza e rappresenta, al tempo stesso, una prova tangibile dei rischi che corre.

Non si era mai sentito così vulnerabile. Ma non è la paura per ciò che può accadergli a intimorirlo, lo sgomenta l’astio e il rancore che gli vengono rivolti da persone che nemmeno conosce, l’ostilità e la violenza – solo verbale, per ora – di quelli che lo definiscono un mostro, un individuo senza scrupoli che ha voluto “giocare a fare Dio”.

Nel pomeriggio, aveva cercato di recarsi in ufficio, ma il piazzale antistante la palazzina in cui ha sede la sua società era invaso da manifestanti, giornalisti, attivisti e curiosi.

La sua guardia del corpo si era rivolto a lui in tono teso: «Dottor Simonetti, dobbiamo fare in modo che lei scenda dall’auto il più in fretta possibile. Non possiamo permetterci di correre rischi.»

Roberto aveva cercato di raccogliere il coraggio necessario per affrontare la folla, ma l’odio e la rabbia che aveva letto nei loro sguardi lo avevano annichilito. Aveva chiesto di essere riportato a casa dove si era rinchiuso, provando un insostenibile senso di impotenza.

La fama ha il potere di innalzarti alle stelle o di trascinarti nell’abisso, si dice e lui ora è sospeso tra queste due estremità. Ha sempre saputo che il successo può avere risvolti spiacevoli, ma questa consapevolezza non lo aveva preparato a una simile esperienza. La strada che ha deciso di intraprendere ha avuto un impatto non solo sulla sua carriera scientifica, ma anche sulla sua stessa identità e sulla percezione che gli altri hanno di lui. Nello spazio di pochi mesi è diventato un’icona mondiale: il suo volto appare su riviste di ogni genere, e il suo nome è ormai conosciuto in ogni angolo del globo. Le apparizioni televisive, le interviste, sono diventate parte integrante della sua vita. Ma con il successo sono arrivate anche le critiche, i sospetti, le invidie; si è trovato ad affrontare denunce, diffamazioni e minacce. L’opinione pubblica è divisa tra coloro che lo considerano un genio, un visionario, un uomo che ha cambiato il corso della storia e coloro che lo accusano di essere un megalomane, un folle che ha voluto sovvertire le leggi della Natura.

Il suo cellulare, posato sul bracciolo del divano, non smette di vibrare annunciando l’arrivo di nuovi messaggi. Roberto si volta a guardarlo con una smorfia di fastidio. Dopo un attimo di esitazione, lo solleva con una mano e con l’altra sfiora lo schermo. Tra i vari inviti a eventi e conferenze, si sofferma su quello dell’ideatore del programma “Ombre e Luci” che rinnova la sua proposta di partecipare ad una delle prossime puntate, interamente dedicata alla sua scoperta. Roberto è consapevole della natura spietata di quella trasmissione; gli spettatori che la guardano si aspettano un linciaggio pubblico e intuisce che lui è stato designato per essere la vittima sacrificale. Come un condannato senza appello, sarà gettato nella fossa dei leoni per essere dilaniato dai suoi detrattori. Persino il pubblico in sala è accuratamente selezionato in base alla propria ostilità nei confronti dell’ospite di turno. Tuttavia, potrebbe essere una occasione per difendere la sua invenzione e spiegare le ragioni delle sue scelte.

Non riesce a prendere una decisione, combattuto tra il timore di essere fatto a pezzi e la tentazione di affrontare i suoi accusatori, sfidare il giudizio del pubblico e far emergere la verità. Decide di rimandare ancora e apre la schermata di WhatsApp; nell’ultima ora ha ricevuto più di cinquanta messaggi da utenti sconosciuti. Come diavolo avranno fatto a trovare il mio numero? Si chiede esasperato. Le prime righe, che appaiono nell’elenco delle chat, sono eloquenti e, come al solito, equamente divise tra encomi, insulti e minacce.

Alza il braccio con gesto rabbioso, come per scagliarlo lontano. Invece, ci ripensa, fa scorrere le schermate dei messaggi ricevuti, cancellandoli uno dopo l’altro. Una domanda, in particolare, lo colpisce: “Cosa si prova a essere l’uomo più amato e più odiato della terra?” Già, questa frase riassume perfettamente la mia condizione attuale.

Si lascia cadere sul divano, demoralizzato. Si sente ostaggio della sua stessa scoperta che sembra avere ormai una vita propria, una volontà indipendente, e si chiede se sarà mai possibile riportare l’equilibrio in un mondo che, in qualche modo, lui stesso ha contribuito a sconvolgere.

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